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Nelle ultime ore il panorama politico italiano è stato scosso da un dibattito infuocato riguardante i tagli alla spesa corrente per gli enti locali, in modo particolare la riduzione dei fondi ai Comuni che hanno già speso risorse per i progetti nell’ambito del PNRR.


Come abbiamo riportato in questo nostro approfondimento il Governo avrebbe infatti intenzione di penalizzare proprio quei Comuni impegnati nella realizzazione delle opere pubbliche, attraverso significativi tagli alle risorse di parte corrente.

Questi tagli, mirati soprattutto verso quei Comuni che hanno tratto maggior vantaggio dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), hanno provocato un’ondata di indignazione tra i sindaci delle città colpite.

Una situazione che rischia di trasformarsi in una vera e propria “polveriera”, visto che già le associazioni degli enti territoriali e in primo luogo dei sindaci italiani, come l’Anci, sono sul piede di guerra e hanno lanciato l’allarme sull’impatto negativo che questa misura avrebbe sulle comunità locali.

La questione non è solo economica, ma tocca anche nervi scoperti della gestione e della distribuzione dei fondi pubblici, mettendo in evidenza tensioni politiche e amministrative che stanno emergendo con forza nel dibattito nazionale.

Cerchiamo dunque di fare un po’ d’ordine e di capire cosa potrebbe accadere e perché scegliere di penalizzare proprio questi Comuni potrebbe essere un’arma che potrebbe rivolgersi contro il Governo.

I fatti e lo scontro politico-istituzionale

A far discutere è proprio il parametro di assegnazione dei tagli ai singoli enti locali scritto nella bozza di decreto attuativo preparato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.

Per quest’anno, il taglio previsto è di 250 milioni di euro, ma si prevede che questa cifra aumenterà fino a raggiungere 1 miliardo e 250 milioni di euro entro il 2028.

Come abbiamo anticipato però ad accendere gli animi sono i soggetti che subiranno questo taglio: a subire i tagli alla spesa corrente saranno gli enti locali che hanno beneficiato maggiormente del PNRR. Come riportato infatti in una dichiarazione del ministro Giorgetti, riportata dal Quotidiano Repubblica, “Tutti devono fare sacrifici. È giusto che contribuisca di più chi ha avuto di più. A contribuire di più al contenimento della spesa pubblica deve essere chi ha ricevuto il regalo del Pnrr“. Una frase che evidenzia la linea dura del Governo e che lascia, come si suol dire, poco spazio all’immaginazione. Inoltre il Ministro Giorgetti, come riportato ancora da Repubblica, ha ribadito che i Comuni erano stati informati fin da dalla fine di dicembre (data dell’approvazione dell’ultima Legge di Bilancio), della necessità di offrire il loro contributo al contenimento della spesa, che ammonterebbe a 1,2 miliardi di euro in cinque anni.

A cercare di mediare con le parti coinvoltre (vale a dire i sindaci) sarebbe stato il ministro per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, che ha aperto un tavolo di dialogo con le realtà territoriale. Ma la frittata ormai sembrerebbe fatta e, non solo, ha avuto anche la controindicazioni di aprire dei dissapori all’interno della maggioranza.

Le preoccupazioni dei sindaci

Ovviamente l’evoluzione di questo confronto è seguita con grande attenzione, poiché le decisioni prese in questo frangente avranno ripercussioni significative non solo sul breve termine, ma anche sulle prospettive a lungo termine delle amministrazioni locali e del Paese nel suo complesso.

Come evidenziato già dal parere dell’Anci, che abbiamo già riportato nel nostro approfondimento precedente, i sindaci, che si trovano a dover gestire le risorse sul territorio, vedono in questi tagli una minaccia diretta alla realizzazione di progetti vitali per lo sviluppo locale.

Essi sostengono che ridurre i fondi proprio a coloro che stanno cercando di implementare il Pnrr potrebbe vanificare gli sforzi fatti finora e compromettere il futuro delle comunità locali. La protesta è amplificata dal fatto che molti di questi progetti riguardano settori cruciali come l’informatica, le infrastrutture e i servizi pubblici, tutti considerati fondamentali per la ripresa post-pandemia e per la modernizzazione del Paese.

Perché è un errore tagliare i fondi ai Comuni che hanno speso per il PNRR?

Adesso entriamo nel merito di questo discorso, analizzando in modo dettagliato a cosa può portare questo indirizzo politico del Governo Meloni.

La decisione di ridurre i finanziamenti ai Comuni che hanno beneficiato del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza va a toccare nello specifico tre aree critiche che rappresentano la manifestazione più emblematica delle problematiche causate dal nuovo “piano Giorgetti”:

  • l’annullamento degli investimenti già avviati
  • il mancato sfruttamento del PNRR per la crescita
  • e la mancanza di comunicazione e programmazione.

Annullamento degli investimenti già avviati

Uno dei principali problemi evidenziati è il rischio di vanificare gli investimenti già realizzati dai Comuni. Molti enti locali hanno già speso considerevoli risorse per avviare progetti legati al Pnrr, con un focus particolare sul settore dell’informatica e delle tecnologie digitali. Questi progetti mirano a migliorare l’efficienza dei servizi pubblici, aumentare la trasparenza e la partecipazione dei cittadini, e potenziare le infrastrutture digitali.

Un taglio improvviso dei finanziamenti comprometterebbe la continuità di tali iniziative. Progetti complessi e a lungo termine, come quelli di digitalizzazione, richiedono un flusso costante di risorse per essere portati a termine con successo. Senza i fondi necessari, i Comuni potrebbero essere costretti a interrompere o ridurre significativamente le attività, causando non solo un ritardo nella realizzazione, ma anche una possibile perdita dei progressi già ottenuti. Questo potrebbe tradursi in un “rollback” tecnologico, riportando i sistemi e i servizi pubblici allo stato precedente all’avvio del PNRR

Mancato sfruttamento del PNRR per la Crescita

Il PNRR sulla carta rappresenta per l’Italia un’opportunità unica di modernizzazione e sviluppo economico. Il piano è stato concepito per stimolare la produttività del Paese attraverso investimenti strategici in vari settori, dalla digitalizzazione alla transizione ecologica, dalle infrastrutture alla ricerca e innovazione.

Tagliare i finanziamenti ai Comuni che stanno già utilizzando questi fondi per progetti di crescita significherebbe dunque in tal caso limitare il potenziale impatto positivo del Piano. I Comuni sono gli attori (e gli attuatori) principali nell’implementazione di molti di questi progetti e la riduzione delle risorse a loro disposizione potrebbe rallentare l’intero processo di modernizzazione. Questo non solo indebolisce gli sforzi locali per migliorare la qualità della vita dei cittadini, ma rischia anche di compromettere gli obiettivi nazionali di crescita economica e sviluppo sostenibile.

Mancanza di comunicazione e programmazione

Un’altra critica mossa alla decisione di ridurre i fondi è la scarsa comunicazione e programmazione che ha accompagnato l’annuncio dei tagli. Secondo molti amministratori locali, se i tagli fossero stati comunicati con maggiore chiarezza e con un adeguato anticipo, i Comuni avrebbero potuto adattare le loro pianificazioni finanziarie e operative per far fronte alla riduzione dei fondi.

Una comunicazione tempestiva avrebbe permesso ai Comuni di evitare spese non sostenibili e di riorganizzare i progetti in corso per minimizzare l’impatto negativo dei tagli. Siamo costretti a citare per l’ennesima volta quanto accaduto al Comune di Marzabotto e raccontato su questo quotidiano di recente, dove l’ente è finito in default per avere anticipato proprio le spese del PNRR senza ricevere il trasferimento dei fondi da parte del Ministero.

L’assenza di un dialogo chiaro e trasparente tra governo centrale e amministrazioni locali ha invece creato incertezza e disorientamento, complicando ulteriormente la gestione delle risorse e dei progetti.

Una decisione che arriva dopo il rifinanziamento di alcune misure del PNRR

Si fa presente anche il tempismo non proprio perfetto di questa decisione, che arriva in un momento in cui molte misure del Piano risultano appena rifinanziate.

In primo luogo basti pensare alla recente iniezione di nuovi finanziamenti dedicata alla digitalizzazione delle Pa locali, in particolare gli Avvisi di PA digitale 2026 da oltre 2 miliardi di euro, che hanno diversi obiettivi quali:

  • migrazione verso il cloud delle PA
  • digitalizzazione dei servizi tramite pagoPA, app IO e SEND
  • ottimizzazione delle infrastrutture e dei dati con la PDND
  • rafforzamento dell’identità digitale tramite CIE/SPID
  • e implementazione di modelli consolidati per siti e servizi web pubblici.

Queste risorse avrebbero l’obiettivo di consolidare ulteriormente e ampliare l’uso di strumenti fondamentali per la digitalizzazione dei servizi pubblici in Italia. Ne abbiamo parlato in modo approfondito qui.

Ma un altro esempio calzante è senz’altro il nuovo piano per gli asili nido italiani, che dedica ben 734,9 milioni di euro, destinati ai Comuni e alle città metropolitane, e che vuole migliorare e ampliare l’accesso ai servizi di assistenza per i bambini di età compresa tra 0 e 2 anni.

Ovviamente i Comuni adesso potrebbero avere timore nell’aderire a queste iniziative, viste le premesse.

Il miraggio del “recupero di produttività”

Infine va sempre tenuto a mente che il Recovery Plan italiano è stato finanziato attraverso un significativo aumento del debito pubblico, giustificato dall’eccezionalità del momento e dalla necessità di interventi strutturali per rilanciare l’economia. L’idea di base era che questi investimenti avrebbero generato un ritorno economico, migliorando la produttività, stimolando la crescita e creando nuove opportunità di sviluppo.

In altre parole, i fondi del Pnrr dovevano essere visti come un investimento nel futuro del Paese, piuttosto che come una semplice spesa.

Quando si contrae un debito per finanziare il Pnrr, l’obiettivo è che i benefici economici a lungo termine superino i costi iniziali. Se si dà una sforbiciata ai fondi del Pnrr e non si riesce a realizzare gli investimenti previsti, si rischia di rimanere con un debito elevato senza ottenere i miglioramenti necessari per ripagare quel debito attraverso la crescita economica.

Ridurre i finanziamenti ai Comuni che utilizzano questi fondi per progetti di sviluppo compromette pertanto non solo la realizzazione dei progetti stessi, ma anche il potenziale di crescita e recupero economico del Paese.

Stiamo buttando al vento quanto fatto finora?

In sintesi, la riduzione dei finanziamenti a questi comuni non solo rischia di compromettere i progressi finora ottenuti e limitare il potenziale di crescita del piano, ma mette anche in evidenza una carenza di comunicazione e programmazione che aggrava ulteriormente la situazione.

Sarebbe stato probabilmente più opportuno esplorare soluzioni alternative per il contenimento della spesa pubblica, in modo da proteggere gli investimenti già avviati e massimizzare il potenziale di sviluppo offerto dal PNRR.


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it


 

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