L’ attrattiva dell’investimento nel lending crowdfunding può rivelare alcune insidie, in particolare da un punto di vista fiscale. Il lending crowdfunding, noto anche come social lending o peer-to-peer lending, è una forma di finanziamento alternativo che consiste in un prestito tra privati, effettuato tramite piattaforme online e finalizzato allo sviluppo di determinati progetti imprenditoriali.
Il lending crowdfunding
In Italia si è sviluppato molto nel settore immobiliare proprio a sostegno di progetti di sviluppo. Il lending crowdfunding d’altra parte è nato principalmente per aiutare aziende e soggetti che molto spesso non riescono a ottenere finanziamenti dagli istituti di credito tradizionali e per realizzare i loro progetti si rivolgono ai privati. Spesso accade che agli imprenditori venga chiesto di soddisfare rigorosi requisiti per la concessione del prestito bancario.
Per gli investitori (chiamati prestatori) così esistono opportunità di guadagno interessanti. Attraverso il lending crowdfunding, infatti, il prestatore mette a disposizione una propria somma di denaro per sostenere la realizzazione di un progetto, ottenendo il rimborso del capitale maggiorato da interessi pattuiti.
L’interpello
In una recente risposta non ancora pubblicata a un interpello, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che i portali di lending crowdfunding non possono applicare la ritenuta a titolo d’imposta del 26% sui proventi derivanti da investimenti effettuati tramite le loro piattaforme, se non ricorrono alcune condizioni: «I proventi, derivanti da prestiti erogati tramite piattaforme di lending crowdfunding, percepiti da una persona fisica fuori dell’esercizio di una attività d’impresa, concorrono alla formazione del reddito complessivo, subendo però una ritenuta a titolo d’acconto del 26% – spiega il commercialista Giampiero Gugliotta, managing partner dello studio CTL Advisory -. In alternativa, questa ritenuta è trattenuta a titolo d’imposta (tassazione semplificata), se il gestore della piattaforma è un intermediario finanziario iscritto all’albo o un istituto di pagamento, autorizzato dalla Banca d’Italia (art. 1, co. 43-44, L. 205/2017). Detti proventi, se conseguiti da un’impresa concorrono alla formazione del reddito complessivo, considerata l’attrazione nell’alveo del reddito d’impresa». Come spiega l’esperto, proprio una recente risposta dell’Agenzia delle Entrate ha riepilogato il trattamento fiscale dei proventi (richiamando le risposte nn. 56/2020, 168/2020 e 687/2021). «Se questi concorrono alla formazione del reddito complessivo dell’investitore – chiarisce ancora Gugliotta – dovranno essere indicati nella relativa dichiarazione; anche l’eventuale ritenuta a titolo d’acconto del 26% applicata dalla piattaforma dovrà essere indicata in dichiarazione. Nel caso in cui ricorrano le condizioni per la tassazione semplificata, i proventi saranno esclusi dalla formazione del reddito complessivo e la piattaforma applicherà una ritenuta a titolo d’imposta del 26%».
A cosa prestare attenzione
Ecco allora che appare lecita una domanda: cosa può accadere a chi ha fatto ricorso all’escamotage prima citato per ridurre la tassazione? «I portali di lending crowdfunding possono applicare la ritenuta a titolo d’imposta sui proventi percepiti dagli investitori solo se il gestore della piattaforma è un soggetto qualificato (artt. 106 e 114 del D. lgs. 385/1993) – conclude Gugliotta – . Nel caso in cui, pur non ricorrendo tale requisito, le piattaforme avessero applicato a tali proventi una ritenuta del 26% a titolo d’imposta, questa dovrà essere comunque considerata dall’investitore operata a titolo di acconto. Di conseguenza, si dovrà assoggettare il provento al regime dichiarativo liquidando correttamente l’imposta Irpef progressiva dovuta su tale reddito scomputando la ritenuta subita, poiché, in tal caso, è da ritenersi applicata a titolo d’acconto».
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